dr.ssa Diana Zarantonello

Introduzione

La malattia renale cronica (MRC) è definita come “una condizione di alterata funzione renale che persiste per più di 3 mesi” e viene classificata in 5 stadi di gravità crescente in base alla velocità di filtrazione glomerulare, che identifica una ridotta capacità depurativa.

Stadi della malattia renale cronica in relazione alla velocità di filtrazione glomerulare misurata in ml/min/1,7m2 (1).

  • Stadio 1: Funzione normale o aumentata. VFG > 90.
  • Stadio 2: Lieve compromissione funzionale. VFG 89-60.
  • Stadio 3a: Compromissione funzionale moderata. VFG 59-45.
  • Stadio 3b: Compromissione funzionale moderata. VFG 44-30.
  • Stadio 4: Compromissione funzionale grave. VFG 29-15.
  • Stadio 5: Insufficienza renale terminale. VFG < 15 (o dialisi).

La MRC può evolvere verso le fasi terminali, e in questo caso sarà necessario avviare la terapia dialitica, o, più frequentemente, può purtroppo portare al decesso del paziente per morte cardiovascolare (1). Infatti i pazienti affetti da nefropatia mostrano un più elevato rischio di malattie cardiovascolari, legato ad aterosclerosi accelerata. Questo perché, nel paziente con MRC, ai fattori di rischio cardiovascolari classici (diabete, ipertensione arteriosa, fumo, dislipidemia) se ne aggiungono altri specifici di questa malattia, come l’aumentato stress ossidativo, l’infiammazione cronica, l’acidosi metabolica e la ritenzione di tossine uremiche (2). Basti pensare che i pazienti che si trovano in uno stadio di MRC tra 4 e 5 presentano un rischio di mortalità per patologie cardiovascolari da 2 a 4 volte superiore a quello della popolazione generale, mentre i pazienti con malattia renale all'ultimo stadio hanno un rischio fino a 20 volte superiore (3).

È ormai ben dimostrato come la terapia nutrizionale (basata sulla riduzione dell’apporto proteico) nel paziente nefropatico sia in grado di ritardare la morte renale (del 32% secondo una Cochrane review (4)), evitare i sintomi connessi all’insufficienza renale cronica avanzata (nausea, prurito), evitare la malnutrizione (che si sviluppa inevitabilmente nel paziente lasciato in dieta “libera”) e posticipare l’ingresso in dialisi senza aumentare la mortalità (5;6;7).

Vale la pena ricordare che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’apporto proteico adeguato per la popolazione generale è di 0,8 g/kg/die (8): nei paesi occidentali ed in Italia, tuttavia, l’apporto reale tende ad essere ben più alto di quello suggerito (9).

La nascita della terapia nutrizionale nel trattamento dell’insufficienza renale cronica

Da oltre un secolo, la riduzione quantitativa dell'assunzione di proteine nella dieta è riconosciuta come misura terapeutica nella malattia renale cronica.

Il primo tentativo di applicare una dieta ipoproteica viene effettuato da Smith, nel 1926 (6). In Italia è stata la scuola nefrologica di Pisa che per prima e in modo più sistematico, a partire dagli anni ’60, effettua studi riguardo la terapia dietetica nel paziente nefropatico: a quell’epoca il trattamento dialitico non era ancora disponibile per tutti e pertanto l’approccio nutrizionale era il solo strumento che permetteva di controllare i sintomi uremici nei pazienti con nefropatia avanzata. La prima dieta, ideata dal Prof. Giovannetti, che divenne ben presto un cardine terapeutico della nefrologia internazionale, si basava sulla limitazione dell’apporto proteico, sia riducendo la quota di proteine animali (0,6 g/kg/die), sia sostituendo il pane e la pasta con prodotti aproteici, riducendo in tal modo anche l’apporto di proteine di origine vegetale (10;11). I “prodotti aproteici” sono formulazioni dietetiche ottenute dal grano (pane e pasta) privato del glutine, che ne rappresenta la quota proteica. Sono indispensabili per allestire una dieta ipoproteica (che deve essere ad alto contenuto calorico) mantenendo una quota di proteine animali, poiché forniscono un buon apporto calorico a fronte di uno scarsissimo apporto proteico (inferiore a 1g/100 g di prodotto nelle formulazioni più moderne) (12).

Successivamente, negli anni 80’-90’, viene proposta l’alternativa plant-based della dieta moderatamente ipoproteica (0,6 g/kg/die, Low Protein Diet vegan) basata sulla complementarietà delle proteine vegetali, che consiste nell’associare il consumo di cereali e legumi: tale misura, pur non essendo ritenuta strettamente necessaria per coloro che seguono una dieta plant-based, risulta consigliabile nei pazienti nefropatici, che risultano ad elevatissimo rischio di malnutrizione e che, per la patologia di base, hanno delle limitazioni dietetiche. Questa opzione ha l’importante vantaggio di non richiede l’utilizzo dei prodotti aproteici (che sono talvolta poco apprezzati dai pazienti, sia per la scarsa palatabilità, sia per il costo) (13). Gli stessi autori sottolineano come tale alternativa, rispetto a quella “classica”, offra potenziali vantaggi, in quanto è caratterizzata da elevato rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, assenza di colesterolo e produzione di carico acido inferiore (13). In pazienti selezionati, nelle fasi più avanzate di insufficienza renale viene inoltre proposta una dieta a bassissimo contenuto proteico (Very Low Protein Diet supplemented, VLPDs 0,3 g/kg/die), caratterizzata da apporto di soli alimenti vegetali (frutta, verdura, cereali), con limitazione anche dell’apporto di legumi e semi oleaginosi (in quanto fonti proteiche) che prevede anche l’utilizzo di integratori amminoacidi essenziali (AAE) e ketoanaloghi (KA) (alfa-kappa® 1 compressa ogni 5 kg di peso corporeo) e di prodotti aproteici per raggiungere la quota calorica (14;15).

La sostituzione dell’apporto di proteine con la dieta, che quando metabolizzate producono rifiuti azotati, con ketoanaloghi non contenenti azoto, permette al paziente di avere il beneficio dell’apporto amminoacidico evitando il sovraccarico di tossine uremiche. Infine, per ampliare ulteriormente la possibilità di scelta, viene introdotta anche la dieta ipoproteica plant based supplementata (0,6 g/kg/die, LPDs) con integratori di amminoacidi essenziali e ketanaloghi (alfa-kappa® 1 compressa ogni 10 Kg di peso corporeo). Si basa sulla suddivisione in cibi proibiti (quelli di origine animale) e permessi (quelli vegetali). Anche in questo caso, pur non essendo usualmente ritenuto necessario l’apporto di supplementi amminoacidici nella dieta plant-based con apporto proteico di 0,6 g/kg/die, questo può essere utile a scopo prudenziale quando i pazienti onnivori vengono forzatamente indotti alla dieta plant based e non tollerano l’assunzione di legumi. Risulta particolarmente indicata nei pazienti fragili, inclusi diabetici e donne nefropatiche in stato di gravidanza. (16)

Apporti nutrizionali per i vari tipi di dieta

In tabella sono indicati gli apporti nutrizionali delle diverse opzioni dietetiche suggerite nel nefropatico (12;16). Per tutti i tipi di dieta:

  • l'apporto calorico è di 30-35 kcal/kg/die:
  • l'apporto di sodio è di 2g/die;
  • l'apporto di potassio è come nella dieta “sana” se non c’è iperkaliemia (quindi >3,9 g/die), altrimenti apporto < 3 g/die;
  • l'apporto di fosforo è sempre ridotto, minore di 700 mg/die; solo nella dieta VLPDs è ridotto drasticamente, a 300-400 mg/die.

Legenda: LPD= Low Protein Diet. LPDs= Low Protein Diet supplemented. VLPDs= Very Low Protein Diet supplemented. AAE= amminoacidi essenziali; KA= ketoanaloghi.

Dieta Apporto proteico Apporto glucidico
LPD tradizionale 0,6 g/kg/die (0,4 di origine animale) Circa 55-60% prevalentemente da prodotti aproteici
LPD vegan 0,6-0,7 g/kg/die (100% vegetali) 55-60% da cereali e zuccheri
LPDs vegan 0,6 g/kg/die (100% vegetali) + AAE/KA (1 cpr ogni 10 kg di peso) 55-60% da cereali e zuccheri
VLPDs 0,3 g/kg/die + AAE/KA (1 cpr ogni 5 kg di peso) Circa il 55-60% prevalentemente prodotti aproteici

La dieta plant based: ruolo preventivo nello sviluppo di insufficienza renale cronica

Un recente studio osservazionale effettuato su più di 55.000 persone ha mostrato che quelli che seguivano una dieta plant-based presentano una ridotta incidenza di malattia renale cronica rispetto a coloro che avevano una dieta onnivora o solo parzialmente plant-based (latto-ovo-vegetariani) (17). Questo è in parte spiegabile per il fatto che la dieta plant-based riduce il rischio di sindrome metabolica, ipertensione arteriosa e diabete mellito, condizioni che rappresentano le principali cause di malattia renale cronica nei paesi occidentali (18).

Riguardo i singoli fattori dietetici, studi epidemiologici evidenziano chiaramente che l’assunzione di proteine e grassi di origine animale, con particolare evidenza per la carne rossa e per le carni lavorate, risultano fattori di rischio per lo sviluppo di malattia renale cronica (19-22), mentre, al contrario, il consumo di frutta fresca, di cibi ricchi di fibra in generale e di proteine vegetali come legumi e semi oleaginosi, rappresentano fattori protettivi (19; 23-25).

La dieta ipoproteica plant based nel paziente con malattia renale cronica

Nei pazienti con malattia renale cronica, il progressivo decurtamento della funzione renale comporta lo sviluppo di alterazioni metaboliche. Tra queste, le più importanti dal punto di vista patogenetico, sono:

  • lo sviluppo di acidosi metabolica: tale condizione comporta catabolismo proteico con perdita della massa muscolare, demineralizzazione ossea, attivazione dell’infiammazione, aumentato rischio cardiovascolare e accelerata progressione del danno renale. Espone inoltre a maggior rischio di iperkaliemia. Le linee guida suggeriscono di mantenere i bicarbonati plasmatici sopra i 22 mEq/L (6;18);
  • l’accumulo di fosfati nell’organismo, che correla con aumentato rischio di calcificazioni vascolari, iperparatiroidismo secondario, malattia renale ossea, aumentata mortalità globale (6);
  • l’accumulo di urea e tossine uremiche derivanti dal metabolismo intestinale delle proteine (trimetilammina ossido o TMAO, p-cresolo solfato, indolo solfato) (2);
  • le alterazioni del microbiota intestinale con prevalenza della flora proteolitica, aumentata permeabilità intestinale e attivazione dello stato infiammatorio (2).

La terapia nutrizionale, che consiste in una dieta ipoproteica, ipofosforica, ipo-normosodica, moderatamente ipercalorica e a buon apporto di fibre, è volta a contrastare tali alterazioni. Come abbiamo visto ne esistono diverse opzioni, in base alla restrizione proteica (LPD o VLPD) e in base al mantenimento o meno della quota di proteine di derivazione animale (LPD classica o LPD plant-based).

A parità di apporto proteico, la dieta totalmente vegetale offre potenziali vantaggi rispetto a quella con apporto (seppur ridotto) di proteine animali.

Questo per diverse ragioni:

  • le proteine vegetali hanno una minore azione a livello dell’emodinamica renale, e pertanto riducono il carico renale e l’iperfiltrazione (26);
  • la produzione di acidi è minore: infatti la maggior parte della frutta e della verdura apportano valenze alcaline, mentre le proteine vegetali hanno valenza neutra o lievemente acida. Al contrario le proteine animali, ricche di amminoacidi solforati, apportano valenze acide all’organismo e, specie in corso di insufficienza renale, predispongono allo sviluppo di acidosi metabolica (6;18;27);
  • l’apporto di potassio e le proteine vegetali possono contribuire a ridurre la pressione arteriosa (9;18);
  • la dieta plant-based ha una più favorevole composizione lipidica (basso contenuto di acidi grassi saturi e di colesterolo); pazienti nefropatici in VLPD mostrano un profilo lipidico migliore rispetto a quelli in LPD tradizionale (9);
  • gli alimenti vegetali contengono fosforo in forma di fitato, che risulta scarsamente biodisponibile (6;18); è stato evidenziato che il passaggio dalla dieta ipoproteica onnivora a quella plant-based riduce, dopo solo una settimana, i livelli di fosforemia (27).
  • la dieta a base vegetale favorisce l’insulino sensibilità e pertanto contrasta lo stato di insulino-resistenza tipica del paziente affetto da malattia renale cronica (28);
  • gli alimenti vegetali rispetto a quelli animali sono ricchi di sostanze fitochimiche note per essere protettive sul sistema cardiovascolare (28), e posseggono una più alta capacità di neutralizzare i radicali liberi (Oxygen Radical Absorbance Capacity ORAC): i pazienti con MRC in dieta vegana (VLPDs) mostrano un ridotto stress ossidativo così come un ridotto stato infiammatorio rispetto a quelli in LPD tradizionale (29;30);
  • la dieta plant-based apporta una minor quantità di sodio (31);
  • i cibi vegetali, a parità di metodo di cottura contengono meno prodotti di glicazione avanzata (advanced glycation end products; AGEs), che sono noti per aumentare lo stress ossidativo e l’infiammazione, e i cui valori plasmatici sono più elevati in corso di MRC (32);
  • la dieta plant based contiene minori quantità di carnitina, colina, fosfatidilcolina, così come tirosina e triptofano, tutte sostanze che a livello intestinale sono metabolizzate dalla flora microbica dando luogo a tossine uremiche (TMAO, p-cresolo solfato, inositolo solfato) che si accumulano soprattutto in corso di insufficienza renale, con effetti negativi sia a livello cardiovascolare sia sulla progressione del danno renale (2); coloro che seguono una dieta plant-based hanno minori livelli plasmatici di tali sostanze rispetto agli onnivori, sia nella popolazione generale sia nei pazienti affetti da MRC (6);
  • il contenuto totale di fibre è maggiore rispetto alla dieta ipoproteica tradizionale, e viene stimato in media un apporto di 15,9 ± 2,2 g/1000 kcal nella dieta LPD vegan, rispetto a soli 7,6 ± 1,5g/1000kcal nella dieta LPD tradizionale (33);
  • i cibi vegetali sono quelli a minor contenuto di “inquinanti organici persistenti” (Persisten Organic Pollutants, POPs) come diossine, furani, policlorobifenili (PCB), pesticidi organocloruri, che invece tendono ad accumularsi nei grassi animali per il fenomeno del bio-accumulo. Tali composti sono stati associati a un possibile danno renale (6);

Più in generale possiamo dire che le diete a base vegetale tendono ad avere un maggior rapporto calorie/proteine e calorie/fosforo (quindi soddisfano le richieste energetiche pur mantenendo un basso apporto di azoto e fosforo), sono a basso contenuto di acidi grassi saturi, migliorano il controllo glicemico rispetto alla dieta onnivora e possono ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione (12).

Riguardo l’aspetto nutritivo, il concetto di “proteine nobili” riferito alle fonti animali andrebbe superato, come suggerito da alcuni autori, poiché ormai numerose evidenze suggeriscono come le proteine vegetali, inserite in una dieta varia e bilanciata, risultino, oltre che vantaggiose sotto molti profili, anche più che adeguate dal punto di vista nutrizionale e permettano di mantenere un buono stato nutrizionale anche nel paziente nefropatico (36;37).

Vantaggi e potenziali svantaggi dell’assunzione di proteine vegetali nel paziente nefropatico

La seguente tabella è stata tradotta e adattata dalla fonte bibliografica numero 16.

Criteri Vantaggi Svantaggi
Quantità delle proteine Evita il sovraccarico proteico C’è necessità di pianificare la dieta in pazienti con usuale elevata necessità di proteine
Qualità delle proteine Risulta più che adeguata in una dieta varia La dieta non può essere basata solo su pochi alimenti
Pressione arteriosa Miglioramento Nessuno
Fosfati ematici Riduzione Nessuno
Acidosi metabolica Miglioramento Nessuno
Tossine uremiche Possibile riduzione Nessuno
Potassio I cibi vegetali favoriscono il transito intestinale e quindi l’eliminazione del potassio in eccesso I cibi vegetali sono fonte di potassio
Microbiota intestinale Rafforza la barriera intestinale, riduce l’infiammazione e la progressione del danno renale Nessuno
Diabete mellito Miglioramento Nessuno
Malattie cardiache Miglioramento Nessuno

Autrice dell'articolo: Dott.ssa Diana Zarantonello, specialista nefrologa presso la SC di Nefrologia e Dialisi Ospedale S. Chiara di Trento. Master Universitario di II livello in nutrizione e dietetica presso l’Università Politecnica delle Marche.

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Published Online: 26 May 2019 -- Copyright © by SSNV / All rights reserved.