A cura della dr.ssa Luciana Baroni

L'incidenza di cancro (k) mammario varia nei diversi Paesi del mondo, essendo elevata negli USA e nel mondo occidentale, e bassa nelle popolazioni asiatiche. Se però individui appartenenti a popolazioni a basso rischio migrano verso paesi "civilizzati", il vantaggio viene azzerato. A partire da queste osservazioni è stato ipotizzato il ruolo di fattori ambientali, in primo luogo del tipo di dieta, nell'eziopatogenesi di questo -ed altri tipi- di tumore.

Già dalla metà degli anni 70 iniziano a fiorire studi scientifici su popolazioni a sede geografica diversa, che sfruttano le differenze nelle abitudini alimentari e le migrazioni per stabilire il ruolo della dieta nella comparsa di cancro, compreso quello della mammella. Un grosso studio dell'epoca è quello su una popolazione di Avventisti Californiani, che costituisce una pietra miliare degli studi epidemiologici concernenti il rapporto dieta e salute poichè confronta l'incidenza di vari tipi di malattie e cause di morte in una popolazione vegetariana (e con un particolare stile di vita), rispetto ad un campione analogo di popolazione non-vegetariana [114]. In questo campione, tuttavia, la mortalità per k mammario non appare influenzata dalla dieta, bensì da altre variabili, soprattutto dalle abitudini di vita [108, 109, 114].

All'epoca qualche acuto studioso [1, 2], partendo dal presupposto che il k mammario è una neoplasia ormono-dipendente, aveva già riscontrato nelle donne vegetariane un diverso comportamento metabolico di analoghi degli estrogeni (denominati in seguito fitoestrogeni perchè derivano dal cibo vegetale, e che ora sappiamo svolgere un ruolo protettivo nei confronti del cancro mammario, perchè "schermano" i recettori della mammella dall'azione carcinogenica degli estrogeni endogeni). L'ipotesi "fitoestrogeni" (lignanti ed isoflavoni) ha poi assunto sempre più rilevanza con il passare degli anni, ed a questo argomento verrà dedicata una specifica rassegna.

Inoltre, poichè nelle donne vegetariane veniva riscontrata una maggior perdita di estrogeni endogeni con le feci ed una consensuale riduzione del loro livello ematico, è stato ipotizzato che l'effetto carcinogenetico degli stessi a livello degli organi bersaglio (leggi soprattutto mammella) ne fosse contestualmente ridotto [45, 46].

La dieta quindi potrebbe promuovere od inibire la carcinogenesi mammaria nella donna attraverso i suoi effetti diretti ed indiretti sul sistema ormonale [3, 55, 163]: ruolo degli estrogeni endogeni e dietetici, ruolo del tessuto adiposo (obesità), anche se altre variabili devono indubbiamente essere tenute in considerazione (età del menarca, della menopausa, gravidanze ed uso di estroprogestinici, assunzione di alcool, attività fisica).

Sempre in ambito endocrinologico vanno riportati recenti studi [136, 140] che ipotizzano come una situazione di insulino-resistenza (con elevazione dei livelli di insulina) secondaria a obesità ed assunzione di grassi animali possa favorire il k mammario, per azione diretta dell'insulina come growth factor. Per contro, gli acidi grassi n-3 poliinsaturi ridurrebbero il rischio di sviluppare insulino resistenza [139]. Le proteine ricche in aminoacidi non-essenziali (vegetali), aumentando la secrezione di glucagone, manterrebbero indirettamente normali o bassi i livelli di insulina [103].

L'attenzione degli studiosi però, almeno nel primo decennio, si è focalizzata sulla correlazione positiva tra elevata introduzione di grassi alimentari e rischio di sviluppare il cancro della mammella [7] (così come per altri tipi di tumore erano state individuate correlazioni che tratteremo in altre rassegne).

Anche se qualche Autore ha sentito il bisogno di riprodurre nell'animale l'induzione della carcinogenesi con una dieta ricca in grassi [19, 20, 21, 22, 77, 100, 131, 138] fortunatamente disponiamo di una tale quantità di studi sull'uomo da permetterci di trattare l'argomento in maniera scientifica.

Infatti gli studi sull'uomo, per contro, non sono tutti in accordo con l'ipotesi della carcinogenesi mammaria da parte dei grassi dietetici, come gli esperimenti sull'animale dimostrano indiscutibilmente.

Con il passare degli anni i molti studi condotti rendono questo rapporto sempre meno sicuro: questo a riprova di come la carcinogenesi nell'uomo sia di gran lunga differente dalle situazioni artificialmente create nell'animale da esperimento, e come sia tuttaffatto pericoloso voler trasferire sull'uomo ex-abrupto i dati derivati da esperimenti sull'animale ("diets and susceptibility to breast cancer vary among species, and therefore results from rodent experiments should not been extrapolate to humans" [55]).

Già nel 1981 [36] Enstrom metteva in dubbio, sulla base di evidenze epidemiologiche derivanti da correlazioni geografiche, studi di migrazione, studi su popolazioni a basso rischio e trials dietetici, che una riduzione dei grassi dietetici avesse una ripercussione positiva sulla prevalenza di tumori in generale.

Uno studio prospettico su una popolazione di circa 2000 vegetariani tedeschi pubblicato nel 1988 [40] e durato 5 anni mostrava una netta riduzione della mortalità, rispetto alle aspettative statisticamente calcolate: in particolare, rare od assenti risultavano le morti per k mammario. Dopo 11 anni nella stessa popolazione però questo trend tende a scomparire (anche se emergono dati positivi per altre patologie) [23, 24].

Appare fin qui già evidente come nella letteratura scientifica, peraltro molto abbondante, che si riferisce a questo argomento, siano rappresentate posizioni molto diverse.

Citando emblematicamente il Prof. Willett, epidemiologo di Harvard [153] a proposito del rapporto grassi dietetici-k mammario:

Relative risks for the highest versus lowest categories of energy-adjusted fat intake in the six published studies have all been nonsignificant and close to 1.0:
-California Seventh-Day Adventists Study (215 cases), relative risk (RR) = 1.21;
-Nurses' Health Study (1439 cases), RR = 0.90;
-Canadian Breast Cancer Screening Study (592 cases), RR = 1.30;
-Iowa Women's Study (408 cases), RR = 1.13;
-New York State Cohort (359 cases), RR = 1.00;
-Dutch Cohort (471 cases), RR = 1.11.
Two additional studies have been reported with fewer than 70 cases and dietary methods less appropriate for studies of this nature; an inverse association was seen in one and a positive association in the other. In studies that included both premenopausal and postmenopausal women, no evidence was seen for a stronger positive association among the older group. In addition, no indication was seen of a threshold for reduced risk below 30% of calories from fat, as has been suggested by some.

Cerchiamo di sintetizzare di seguito quanto emerge dalla letteratura scientifica riguardo al tema di questa rassegna.

Come già anticipato, alcuni studi riportano un rapporto positivo tra grassi dietetici e k mammario [63, 68, 78, 102, 106, 107, 127, 128, 147], soprattutto -ma non solo- nel caso di grassi di origine animale, mentre per qualche Autore i grassi di origine vegetale eserciterebbero un ruolo protettivo [97].

A tale conclusione i diversi Autori pervengono attraverso diversi approcci metodologici, ed alcuni arrivano a proporre misure dietetiche anche nel follow-up della neoplasia [25, 60, 96, 115, 169].

Anche la carne e l'alcool sarebbero correlati positivamente con il k mammario [30]. In particolare la carne avrebbe un effetto favorente, al contrario di frutta e vegetali, sullo stress ossidativo a carico del DNA cellulare [31]. Uno studio finlandese mostra un effetto protettivo nelle donne che consumano latte [90, 101]. Inconsistente apparirebbe invece il ruolo dei carboidrati [16].

Molti Autori si "tutelano" comunque affermando come le conclusioni dei loro studi possano almeno in parte essere influenzate da variabili che sfuggono alla elaborazione statistica ed ad errori di valutazione dei vari parametri solo in parte correggibili (ad esempio i criteri di valutazione dei componenti della propria dieta da parte di ogni individuo che partecipa allo studio). Prentice [117] dedica appunto a questo problema una pubblicazione, concludendo che i "dietary self-report instruments" sarebbero inadeguati per ottenere attendibili conclusioni nell'ambito di studi epidemiologici concernenti i grassi dietetici ed il rischio di malattia (diversi Autori, indipendentemente dalla loro posizione nei confronti del nesso causale in oggetto, criticano infatti questi studi nel metodo [11, 26, 48, 129, 145, 168]).

C'è anche chi ipotizza il ruolo protettivo di micronutrienti diversi, soprattutto ad azione antiossidante (vedi poi), nel "confondere" le conclusioni degli studi su grandi numeri [105].

Altri Autori invece non trovano alcun rapporto statisticamente significativo tra dieta e k mammario [49, 64, 65, 80, 93, 94, 95, 126, 143, 144, 146, 150, 152, 153, 156], nemmeno in popolazioni di vegetariani [86].

Solo alcuni Autori riferiscono una correlazione positiva con i grassi omega-6 [9, 10], che potrebbe però secondo gli stessi essere indiretta e riferibile a sostanze varie introdotte con la dieta assieme ai grassi e/o nel corso della preparazione degli alimenti [71].

Qualcuno si è spinto ad affermare che i grassi derivati dal pesce (omega-3) avrebbero addirittura un effetto protettivo [82], come pure gli acidi grassi monoinsaturi, particolarmente sotto forma di olio di oliva [157, 159].

Per altri Autori ancora, l'effetto carcinogenico dei grassi sarebbe ottenuto modulando la sintesi di prostaglandine e leucotrieni [161, 165] o attraverso modificazioni della struttura e funzione della membrana cellulare [165].

In epoca recente alcuni Autori, rivalutando statisticamente più studi su larga scala effettuati da altri colleghi, pervengono a conclusioni discordanti: la correlazione con i grassi della dieta sarebbe presente [14, 53, 56, 67, 70] soprattutto in fase post-menopausale, oppure molto debole se non addirittura assente, o comunque non sufficientemente certa [35, 43, 76, 84, 117]. Un ruolo importante rivestirebbero le abitudini di vita ("confounding factors"), da non trascurare nell'ambito di un'analisi multivariata.

Indiscusso invece apparirebbe l'effetto preventivo di un alto consumo di frutta e vegetali [12, 42, 67, 75] probabilmente da riferire all'alto contenuto di sostanze quali beta-carotene [81, 101], vitamina C [67], vitamina E [26, 28, 37], folati [85].

Come già accennato in precedenza, un elevato consumo di soia, ricca in fitoestrogeni, potrebbe agire come fattore preventivo [104, 134, 162] ed in generale, prodotti di origine vegetale risultano avere un effetto protettivo [51, 113] grazie all'interferenza passiva con il danno ossidativo a carico del DNA.

Dal '94 è in corso uno studio per valutare l'effetto di supplementazione di vitamine antiossidanti e minerali nella dieta [61].

C'è anche chi sostiene che persino l'alimentazione della madre in gravidanza potrebbe avere una qualche influenza negativa sul rischio di k mammario della nascitura [62].

Holmes non trova invece rapporto con i grassi della dieta, ma un'azione protettiva da parte dell'apporto proteico nella sopravvivenza dopo la diagnosi di k mammario [66].

Un recente studio [124] mostra come proteine, carboidrati e carne influenzino in senso precanceroso il parenchima mammario valutato con mammografia: questo effetto non sarebbe invece correlabile a grassi e vitamine.

Pur nell'ammessa incertezza, molti Autori propongono una riduzione dell'assunzione di grassi [13, 15, 27, 57, 160, 164, 167], calorie ed un calo ponderale nelle donne obese per prevenire l'occorrenza di k mammario [59], secondo il razionale che una dieta ricca di grassi può risultare cancerogena semplicemente aumentando l'apporto calorico globale e favorendo l'obesità [17, 96, 120, 142, 158], fattore di rischio soprattutto in fase post-menopausale [137].

Secondo Rose [121, 122, 123], vanno considerati 3 livelli di intervento: consigli dietetici per la popolazione generale, management dietetico per donne ad alto rischio di k mammario, ed inserimento di misure dietetiche nella prevenzione secondaria di pazienti già trattate per k mammario. L'approccio dietetico, secondo l'Autore, consisterebbe in controllo ponderale, riduzione dei grassi alimentari al 15-20% delle calorie totali (prediligendo gli acidi grassi omega-3), ed aumento del consumo di fibre a 25-30 gr/die (che recentemente pare vengano riconosciute come agenti protettivi, sia per il loro contenuto in fitoestrogeni, sia perchè riducono il riassorbimento da parte del circolo enteroepatico dei precursori degli estrogeni endogeni). Anche L'American Cancer Society raccomanda misure dietetiche simili nella popolazione [79].

Negli ultimi anni, partendo dalla considerazione che la dieta occidentale, associata ad fattori di rischio ambientali (attività fisica, alcool, tabacco) può favorire la comparsa di alcuni tumori, essendo a basso contenuto di fibre, alto contenuto di calorie (con apporto calorico da parte di grassi del doppio di quanto auspicato), è stata proposta la "Fiber First Diet" [160], ricca appunto in vegetali e bassa in calorie e grassi, come una delle misure di prevenzione di alcuni tipi di cancro.

Altri Autori suggeriscono addirittura una rivalutazione della RDA della vitamina C (Recommended Dietary Allowance, che è di 60 mg/die), che se aumentata avrebbe un importante ruolo di prevenzione per molte malattie croniche e tumori, grazie alla sua azione protettiva nei confronti degli stress ossidativi [18].

Appare comunque evidente come sia doveroso da parte del personale sanitario essere a conoscenza di queste problematiche al fine di poter fornire informazioni dietetiche ed incoraggiare la aderenza alle stesse da parte dei pazienti [29, 44], nell'ottica di un intervento di prevenzione primaria e secondaria, non solo in campo oncologico (la dieta rimane uno dei più importati fattori di rischio, ed è stato stimato come sia responsabile di oltre l'80% dei casi di cancro dell'intestino, mammella e prostata [30]) ma anche per quanto riguarda le altre patologie degenerative tipiche della civiltà moderna (che verranno trattate in specifiche rassegne).

Desidero terminare questa breve rassegna con la frase a mio modesto parere più saggia ed onesta che ho trovato in tutta la letteratura consultata, e che può essere estrapolata anche ad altre situazioni:

"The totality of the epidemiologic evidence does not support the existence of a strong association between fat intake and breast cancer risk; however, the possibility of a weak association cannot be excluded. Even a weak association could be important in terms of public health. The most fruitful area for future research is likely to be the establishment of new cohort studies and the continued follow-up of existing cohorts, particularly if these could address diet at different times in life, for example, during adolescence." (Howe 1994 [70])

La ricchezza delle references che seguono testimonia come il problema sia ben lungi dall'essere risolto, trattandosi almeno in gran parte di un contenzioso di natura metodologica.

Appare però sempre più forte l'ipotesi che conferisce alla dieta vegetariana un ruolo protettivo nei confronti del k mammario, non tanto per il suo basso contenuto in grassi e calorie, ma per il suo contenuto, nettamente superiore a quello delle diete tradizionali, in fitoestrogeni [34], (presenti soprattutto nella soia, cereali e frutta secca): queste sostanze agirebbero con azione estrogenica (agonista/antagonista a seconda dell'organo bersaglio) ed antiossidante. Influenzando la sintesi di enzimi e di proteine e l'azione di fattori di crescita, modulando la proliferazione, differenziazione di cellule maligne e l'angiogenesi, appaiono essere fattori naturali protettivi per eccellenza nei confronti di certi tipi di tumore, primo tra tutti quello della mammella [5, 6, 72].

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(Non tutte le references sono state citate nel testo)

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Published Online: 14 Aug 2000 (Ultima revisione 2015) -- Copyright © by SSNV / All rights reserved.